m’opprime la vista d’ogni dove in cui solo oggetti muti si fanno portatori del silenzio.. m’adatto giocando con la luce malata d’un oggi sprecato di sonno inquieto.. coltivo una pazzia che mi preservi da ogni futuro contatto con l’altro avvertendomene nascere dal profondo un perentorio rifiuto come se in quello solo ci fosse salvezza.. non luogo sicuro, non orecchio amico, non fiducia ancora di sapermene sollevare.. si stringe attorno al mio collo quel cappio che mi son data tanta assurda pena d’annodare.. e divento di cemento io, col mio pensare.. un altolà ricamato sulla pelle come cicatrice che sfigura diventa la menzogna più grande alla quale condannarsi.. senso di spiacevolezza altresì spiacevole da raccontare.. e qualche forse ancora appeso alla volta d’un soffitto che mi scende in petto divorandomi aria e domani.. un ‘tu’ che pare richiamo e inaspettata ansia di dirlo ancora a qualcuno senza dovermi odiare d’esser come sono.. passa un attimo.. e mi travolge sopraffacendomi, il tumulto.. poi annego nelle mie stesse lacrime mai piante.. ed è di nuovo pace..
(quindiciediciotto)..
foto: gedanken 3 by gnato
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